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Nozioni di Finanza Comportamentale

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Nozioni di Finanza Comportamentale

La finanza comportamentale parte dal presupposto che alla base delle scelte finanziarie spesso vi sono automatismi e distorsioni che portano le persone ad effettuare sistematicamente valutazioni errate riguardo le proprie finanze.

La finanza comportamentale è una materia che ha ormai raggiunto la sua maturità, tanto che quando parliamo di scelte di allocazione dei risparmi non si può non farne riferimento. Tuttavia le dinamiche psicologiche hanno cominciato ad essere contemplate in campo economico solo in tempi recenti.

 

La Teoria dell’utilità attesa

La finanza tradizionale si è sempre basata su modelli razionali che mettevano al centro l’homo economicus, ossia un essere razionale sempre in grado di reperire e analizzare tutte le informazioni nel modo migliore, capace di valutare le varie alternative e di stimare precisamente le numerose conseguenze derivanti da ciascuna di esse. Su questi presupposti si basava la Teoria dell’utilità attesa secondo cui l’uomo è sempre in grado di prendere decisioni volte a massimizzare sistematicamente le sue risorse e in linea alle sue preferenze; preferenze che mantiene stabili e coerenti nel tempo.

 

In realtà la figura dell’homo economicus non esiste in natura, se un individuo fosse a conoscenza di tutte le informazioni necessarie che lo aiutino a decidere non ci sarebbe neanche la necessità di studiare il comportamento degli individui, ma al contrario anche se fosse possibile reperire tutta l’informazione disponibile l’essere umano sarebbe caratterizzato da una limitata capacità di elaborazione delle informazioni, causata da umani limiti nel calcolo, nella memorizzazione e nell’attenzione, e nell’incapacità di processare un elevato numero di informazioni nello stesso momento.

In particolare Maurice Allais, economista e premio nobel francese dimostrò scientificamente che gli individui mediamente preferiscono il guadagno del momento e non l’utilità possono ottenere in termini di benessere assoluto, come ci si aspetterebbe se la teoria fosse reale, confutando così la teoria dell’utilità attesa.

 

 

La teoria dei mercati efficienti

Un altro pilastro della finanza tradizionale è la Teoria dei mercati efficienti secondo cui ci troviamo in un mercato efficiente, ossia i prezzi dei beni rispecchiano sempre e completamente le informazioni disponibili per prendere decisioni nell’allocazione delle scelte di investimento, quindi nessun agente è in grado di ottenere profitti maggiori dei profitti attesi.

Una prima critica alla teoria dei Mercati efficienti è stata mossa in relazione alle semplificazioni poste dal modello.

 

Anche questa teoria ha trovato smentita da un altro economista, anche lui insignito del Nobel per i suoi studi: Robert Shiller il quale ha dichiarato che i prezzi azionari sono troppo volatili per essere descritti da una teoria sui mercati efficienti e che gli investitori sono poi irrazionali allo stesso modo: non scambiano titoli random, ma cercano di comprare o di vendere lo stesso titolo nello stesso momento, in un modo di agire che in finanza comportamentale è stato chiamato: fenomeno dell’investor sentiment. Il problema diventa più serio quando il comportamento di pochi si diffonde in tutto il mercato: l’errore si propaga tramite l’imitazione delle scelte degli altri.

 

Insomma sembrerebbe proprio che la mente umana non sia costruita per rispecchiare i canoni di razionalità assoluta.

 

Nascita della finanza comportamentale: la teoria del prospetto

Dal superamento delle teorie tradizionali nasce la Teoria del Prospetto, ad opera degli psicologi (e premi Nobel) Tvasky e Kalheman, che in particolare integra la teoria dell’utilità attesa: se infatti quest’ultima fornisce un modello teorico relativo al modo in cui le persone dovrebbero comportarsi per prendere la decisione migliore possibile, la teoria del prospetto spiega perché invece ciò non avviene e il rischio non è solo un concetto matematico e statistico, ma esiste un rischio percepito basato sulle nostre caratteristiche emotive.

 

Un prospetto è la combinazione di tutti i possibili esiti di un’alternativa e delle probabilità ad essi legate.

 

Gli individui tendono ad esprimere giudizi in situazioni incerte, facendo riferimento a modelli familiari e ipotizzando che i modelli futuri assomiglieranno a quelli passati, spesso senza considerare le ragioni del modello e le probabilità che questo si ripeta. Questa tendenza scaturisce dalla necessità di ridurre lo stato di incertezza in cui agiscono, ma può portare a sistematici e gravi errori di giudizio.

 

 

Gli errori di giudizio sono il risultato di distorsioni cognitive che coinvolgono le diverse fasi del processo classificate come “euristiche”, cioè scorciatoie mentali, consistenti in regole elementari che consentono di semplificare decisioni e problemi complessi o in presenza di informazioni incomplete e bias, cioè pregiudizi che influenzano le scelte individuali sia sotto il profilo emotivo che percettivo.

 

Le euristiche

Sono tre le principali euristiche che utilizziamo per prendere delle decisioni:

 

 Euristica della rappresentatività: la probabilità di un evento, data l’osservazione di un campione, dipende dalla frequenza base della popolazione e dall’ampiezza del campione osservato. La rappresentatività porta a stimare la probabilità sulla base di stereotipi e preconcetti senza considerare il livello di prevedibilità in sé.

 Euristica della disponibilità: la probabilità di un evento viene spesso approssimata mediante la frequenza di ricordi simili

 Euristica dellancoraggio: consiste nell’eseguire tutte le nostre valutazioni intorno a un punto di riferimento (ancora) che non ha nessuna rilevanza. Spesso non siamo disponibili a modificare le nostre scelte iniziali, neanche di fronte a novità che potrebbero essere migliorative per noi, perché esaminare altre alternative potrebbe risultarci faticoso.

 

I bias

I bias rappresentano tutti quei fenomeni psicologici definiti come deviazioni sistematiche del giudizio. Quando le persone sono chiamate ad esprimere un giudizio spesso danno una risposta intuitiva formulata secondo le informazioni a disposizione in quell’istante discostandosi da quella corretta.

Per quanto riguarda gli errori cognitivi quattro bias sono ritenuti particolarmente importanti in campo comportamentale:

 

 L’iper- ottimismo: Essere troppo ottimisti può portare a sovrastimare le probabilità di successo e a sottostimare i rischi. L’iper-ottimismo impedisce agli investitori di effettuare un’efficace pianificazione poiché rende difficile considerare, tra i diversi scenari possibili anche quelli negativi; inoltre porta alla formulazione di previsioni spesso distorte a proprio vantaggio, con sistematiche delusioni e ha spesso il sopravvento quando ci si confronta con temi e strumenti conosciuti, che proprio in virtù della loro “familiarità” appaiono facilmente governabili.

 Il senso di familiarità riduce la percezione del rischio e di errore. Ci fidiamo, infatti, di quel che conosciamo e siamo portati a reiterare i nostri comportamenti, spesso anche se non hanno funzionato, solo perché li conosciamo.

 Effetto gregge: Fare quello che fanno gli altri infonde più sicurezza nella scelta. Inoltre, se in un momento successivo, tale scelta si dovesse rivelare errata il “pentimento potenziale” risulterebbe minore che se avessimo scelto in autonomia.

 L’over confidanceVizio di attribuzione ed eccessiva fiducia in sé: Mediamente siamo riluttanti ad ammettere i nostri errori anche a noi stessi. Spesso, infatti, tendiamo ad attribuire le decisioni sbagliate agli altri o alle circostanze, mentre al contrario attribuiamo alla nostra capacità l’effetto di una scelta che ha avuto un esito positivo. In materia d’investimenti, l’eccessiva fiducia nelle proprie capacità di analisi e previsione porta ad assumere rischi eccessivi ed a investire e disinvestire in modo rapido e controproducente.

Alla over confidence possono essere ricondotti fenomeni quali:

 

  • La cosiddetta illusione del controllo che si risolve nella convinzione di poter dominare fenomeni che nella realtà non sono controllabili, come appunto l’andamento dei mercati
  • Illusione della conoscenza: su internet è possibile raccogliere un enorme numero d’informazioni apparentemente rilevanti per una scelta d’investimento, ma l’accesso a tale numerosità d’informazioni non migliora la qualità delle decisioni, anzi aumenta pericolosamente la fiducia con la quale le prendiamo.
  • Il self-attribution bias ovvero l’errore del senno di poi che indica la tendenza delle persone a considerare i successi come scaturenti dalle proprie abilità e, per contro, imputare i fallimenti a cause esterne
  • Confirmation bias, o errore di conferma, si manifesta, dopo aver preso una decisione e si esplica nella propensione degli individui a considerare come vere e rilevanti solo le informazioni che confermano la bontà della scelta fatta, trascurando tutte le altre.

 Effetto dotazione: discrepanza tra i valori attribuiti ad un bene nel caso la si possegga già e nel caso lo si debba acquistare. È stato dimostrato empiricamente che il valore attribuito ad un bene che già si possiede è più alto rispetto al suo costo-opportunità

  Rimpianto: una delle emozioni più importanti che distorcono il processo decisionale è il rimpianto o regret.

Questa emozione nasce, come noto dalla sofferenza che si prova nel rendersi conto che una scelta fatta in passato si sia rivelata sbagliata. Le conseguenze principali legate a questa emozione vanno dal cercare di rinviare una decisione all’immobilità totale. Gli individui infatti preferiscono evitare di dover fare i conti con le conseguenze di una scelta sbagliata (rimpianto da commissione) e preferiscono pertanto non fare nulla, non prendere una decisione (rammarico da omissione)

 Framing: Dai pezzi di notizie che ricaviamo, traiamo quella che per noi diventa l’informazione completa e rappresentativa della realtà, di conseguenza tendiamo a sovrastimare o sottostimare la desiderabilità della proposta partendo da una base di giudizio viziata.

 Avversione alla perdita: Siamo molto più sensibili alle perdite che ai guadagni, è stato provato che quando si incassa una perdita il dolore emotivo è così grande che prima di trarre soddisfazione si dovrà compensarla 2,5 volte in più. Tale meccanismo ci porta a non valutare in modo obbiettivo gli investimenti e a disinvestire laddove dovremmo rimanere sui mercati.

 Conti mentali: Il denaro dovrebbe rivestire lo stesso valore a prescindere dal contesto in cui viene valutato; nella realtà invece spesso viene pesato in modo diverso a seconda della sua origine cioè se lo abbiamo guadagnato, o vinto o ereditato. Questa tendenza a separare il denaro in partizioni mentali distinte è stata sviluppata dal nostro cervello per ridurre la complessità delle scelte finanziarie, ma così facendo si perde la percezione delle relazioni tra le diverse asset class in portafoglio.

 

Il pungolo, la spinta gentile

Alla finanza comportamentale è stata spesso mossa la critica di essere una disciplina disorganica, formata dalla descrizione di una collezione di anomalie spesso in reciproco contrasto e di essere incapace di fornire reali soluzioni o quanto meno correzioni dei comportamenti che descrive.

Per superare questo stallo è necessario spostare l’attenzione dall’errore finanziario al processo di scelta: quando ci si concentra sul processo di scelta, si trova la logica di quella scelta e quindi lo stimolo che spinge l’individuo ad agire e a spirgerlo verso le scelte più corrette.

E’ così che assume rilevanza il lavoro dell’ultimo studio di Richard Thaler, neanche a dirlo anche a lui premio Nobel per la teorizzazione di The nudge, la spinta gentile: che afferma si possa intervenire sul processo di scelta  degli individui per renderlo più virtuoso ed efficiente per loro e per la società, una sorta di liberalismo paternalista basato sulla logica win-win che porterebbe unitarietà anche nella finanza comportamentale.

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