Noemi Zirpoli - Consulente Finanziario Torino
Lun - Ven : 09:30 - 18:30
Close
Telefono: +39 340 852 1506 - info@noemizirpoli.it
Lun - Ven : 09:30 - 18:30

Formidabili e fragili: cosa succede sui Paesi Emergenti

Formidabili e fragili: cosa succede sui Paesi Emergenti

I paesi emergenti possiedono un forte peso sociale e territoriale: rappresentano il 75% della superficie terrestre, l’80% della popolazione, ma soprattutto, per quel che ci concerne, detengono il 75% delle riserve monetarie mondiali e pesano per quasi la metà delle esportazioni globali. Tuttavia al tempo stesso sono esposti a rischi geopolitici, finanziari ed economici maggiori dei mercati con una consolidata tradizione economica e solide basi democratiche.

 

I Paesi Emergenti

Il termine ‘Paesi emergenti’ racchiude in sé un numero di mercati ed economie profondamente differenti che hanno in comune uno sviluppo sostenuto.

Negli anni, con la volontà di differenziare ulteriormente questa moltitudine di economie, si sono trovate diverse definizioni e acronimi: BRIC(S) che mette in relazione le economie di Brasile, Russia, India, Cina e Sud AfricaMINT che accorpa Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia; l’espressione Tigri asiatiche, volta a indicare lo sviluppo sostenuto di alcuni paesi asiatici, precedente alle altre due citate, ma anche più presente nell’immaginario comune. Tra le tante descrizioni che riguardano gli Emerging Markets quelle che mi sono sembrate più azzeccate sono “Fragili” e Formidabili”

 

Chi sono i Fragili e i Formidabili

La definizione di Fragile Five, i cinque fragili delle economie emergenti, è stata coniata da Morgan Stanley nel 2013 per indicare Sudafrica, Brasile, India, Indonesia e Turchia, ossia i paesi più vulnerabili a tassi più alti e dollaro più forte. 

A tale definizione era seguita quella della S&P “Formidable Five” cioè quei paesi che pur facendo formalmente parte del mondo emergente, di fatto sono emersi da tempo, e continuano a crescere a ritmo serrato e sono: Cina, Russia, Thailandia, Malaysia e Arabia Saudita.

 

Cosa sta succedendo oggi ai paesi emergenti

Non è infrequente che anche le aree in forte crescita subiscano battute di arresto importanti. A prova di ciò si pensi che proprio i Paesi Emergenti, le cui stime di crescita per il 2018 erano del 6-8%, stanno registrano performance negative da inizio anno nella maggior parte delle categorie finanziarie che li riguardano.

Le motivazioni non sono univoche proprio perché si tratta di Stati molto diversi tra loro. Come base comune troviamo un’escalation delle tensioni commerciali alimentate dagli Stati Uniti e la conseguente volatilità delle valute, l’instabilità politica, e nell’area asiatica, il rallentamento di un’economia centrale come quella cinese.

Quando si parla di paesi emergenti vanno sempre presi in considerazione un certo numero di rischi specifici, e in particolare il rischio politico, vista la fragilità istituzionale che spesso si registra in tali Paesi. In questo periodo la situazione più incerta è quella dell’America Latina. In Venezuela dopo il collasso istituzionale che ha interessato il Paese, la cui situazione economica non si è ancora ripresa. Precaria rimane anche la situazione delle valute di altri stati sudamericani quali Messico, Brasile e Argentina.

Particolarmente delicata risulta anche la situazione in Cina, il cui governo sta tentando di far rientrare l’eccessivo indebitamento del settore privato e viene da tutti indicata come la vittima principale della guerra dei dazi lanciata da Trump. Anche la Russia, bersagliata dalle sanzioni, è nel mirino degli americani ma nonostante ciò grazie alle accorte manovre della governatrice della Banca Centrale Elvira Nabiullina sta mantenendo il suo status di superpotenza.

 

Politiche monetarie: cosa c’entra il dollaro?

Un rafforzamento del dollaro ha tipicamente un effetto negativo sui mercati emergenti, questo perché molti di questi Paesi emettono obbligazioni di Stato in moneta statunitense, pertanto al rafforzarsi delle quotazioni del dollaro anche il loro livello di debito sale; e gli effetti di tali pressioni sono più evidenti su quei Paesi che dipendono di più dagli investimenti stranieri, perché hanno alti livelli di debito e scadenze dello stesso ormai prossime.

 

I mercati emergenti come strumento di diversificazione

Non tutti i paesi emergenti sono così dipendenti alla valuta statunitense, anzi visto il contesto di tassi d’interesse in crescita, e la necessità di trovare aree in forte e sostenibile sviluppo sono almeno due le economie che possono rappresentare un buon elemento di diversificazione grazie alla loro correlazione relativamente bassa con altri mercati globali e sono Cina e India.

 

Cina

Vista l’escalation dei conflitti commerciali proprio gli Stati Uniti può apparire paradossale parlare di bassa dipendenza dell’economia cinese dagli Usa proprio in questo momento. Tuttavia, la componente di rischio relativo alla moneta è molto più governabile rispetto a molti altri Emerging Markets, perché se i cinesi cominciassero ad usare la valuta come strumento di trattativa, forzando una svalutazione, le tensioni potrebbero accentuarsi e creerebbero instabilità finanziaria soprattutto alla Cina stessa. In primo luogo proprio per i rapporti a cui è legata gli Usa: le esportazioni verso gli Stati uniti sono, ovviamente, molto più consistenti rispetto alle importazioni dagli stessi, per tanto la Cina non potrebbe svalutare lo yuan in modo massiccio senza procurarsi degli effetti collaterali negativi sui prezzi di importazione delle materie prime.

In secondo luogo perché una moneta debole costituirebbe un incentivo una fuga di capitali, mentre in questo momento la Cina si sta concentrando su riforme che potrebbero portare a miglioramenti di natura strutturale, e a minori rischi di crediti in sofferenza all’interno del sistema bancario. Pertanto, è improbabile che svaluti.

Tali riforme, combinate alla continua crescita globale, dovrebbero essere positive benché i rendimenti obbligazionari non siano più interessanti come all’inizio dell’anno.

 

 India

Anche la rupia, la moneta Indiana mantiene la sua indipendenza dal dollaro. Anzi la RBI (Reserve Bank of India) continua a perseguire riforme dei mercati finanziari volte a risanare i bilanci e creare un sistema finanziario più trasparente ed efficiente. Ci vorrà tempo prima che queste riforme probabilmente siano pienamente efficaci, si stima che potrebbero avere i primi effetti fra due o tre anni. Tuttavia, con il tempo, la combinazione di queste misure dovrebbe contribuire a sostenere la fiducia degli investitori e condurre ad una possibile revisione al rialzo dei rating(delle valutazioni) dell’India, rendendola un luogo più interessante nel quale investire.

 

La corsa alla crescita degli emergenti ripartirà per davvero?

Nonostante i paesi emergenti in alcuni casi abbiano perso molto, le valutazioni sulle economie sono significativamente migliorate negli ultimi anni, e i trend di crescita restano robusti nella maggior parte degli stessi, rafforzandone l’abilità di resistere a shock esterni. Tuttavia non vi sono informazioni chiare ed esaustive che possano anticiparci realmente quando muoverci prima di vederli sprofondare o ripartire. Per tanto, per ora, valgono, le regole generali: visto il peso dei paesi emergenti sullo scacchiere globale essi non possono mancare in un portafoglio d’investimento, ma presuppongono più nervi saldi proprio perché sono più volatili: formidabili e fragili.

Condividi su:
Populismo e rischio politico: quali conseguenze sui mercati? I FAANG, mamma ho perso l'aereo e gli assistenti vocali